Il film
IL VIOLINO DI CERVAROLO
di Nico Guidetti e Matthias Durchfeld
2012 – HD- 16/9 – dur. 1×75′
“Qui dentro c’è la storia di una guerra, e dentro la storia della guerra c’è la storia di un massacro, e dentro la storia del massacro c’è la storia di un processo, e dentro la storia del processo c’è la storia di un bottone, e la storia del bottone è quella che fa piangere.” Paolo Nori
Credits
Italia, 2012, HD, 1X75′
Soggetto
Nico Guidetti e Matthias Durchfeld
Sceneggiatura
Nico Guidetti e Giusi Santoro
Fotografia
Nico Guidetti e Nello Chiari
Colorist
Andrea Dalpian
Montaggio
Nico Guidetti
Supervisione al montaggio
Giusi Santoro
Suono
Riccardo Nanni
Musiche tradizionali eseguite da
Emanuele Reverberi
Violino
Emanuele Reverberi
Fisarmonica
Paolo Simonazzi
Prodotto da
POPCult
Istoreco
Mediavision
More info
Maggiori info sulla storia del processo:
Quasi settant’anni dopo la strage nazifascista di Cervarolo, piccola comunità sull’Appennino reggiano, Italo Rovali, che in quell’occasione perse nonno e zio, indaga fra i suoi ricordi alla ricerca dei responsabili di quell’eccidio. Grazie alla sua lunga indagine insieme a un gruppo di procuratori si riesce finalmente ad aprire il processo in tribunale.
Il 15 marzo 1944 era in atto il primo grande rastrellamento in montagna con un contingente misto di truppe naziste e fasciste. L’obiettivo era scovare e sterminare i ribelli. Lo scontro che ne seguì a Cerré Sologno si risolse inaspettatamente in una vittoria partigiana, ma con morti da entrambe le parti.
Alcuni dei prigionieri nazisti e fascisti furono successivamente giustiziati dai partigiani. La rappresaglia tedesca non si fece attendere. Il 18 marzo 1944, infatti, la Divisione corazzata Hermann Göring, coadiuvata dalle truppe fasciste locali, diede inizio a una serie di stragi di civili sull’Appennino modenese e reggiano.
Una tragedia che ha segnato per sempre la vita di Italo, i cui ricordi e legami affiorano inaspettatamente nel corso del processo. Compresa l’incredibile storia del violino di suo padre.
Il violino di Cervarolo oggi si svincola dalla storia e dalla memoria per tingersi di attualità. Non solo per la sentenza relativa al processo di Verona del 6 luglio 2011, ma anche per il pronunciamento della Corte Internazionale di giustizia dell’Aja del 3 febbraio 2012, che ha accusato l’Italia di aver violato i suoi obblighi di diritto internazionale nei confronti della Germania ammettendo richieste di indennizzi a Berlino per le vittime dei crimini di guerra nazisti.
“La Corte ritiene che l’azione dei tribunali italiani di negare l’immunità costituisca una violazione dei suoi obblighi nei confronti dello Stato tedesco“, ha spiegato il giudice Hisashi Owada nel corso di un’udienza pubblica all’Aja. Per il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle, la sentenza ha fornito “un chiarimento importante non solo nell’interesse della Germania ma della comunita’ internazionale“.
NOTE DI REGIA
Come spesso succede in Italia, ovunque tu nasca esiste una traccia drammatica lasciata dall’ultima guerra. Dove viviamo noi, la provincia di Reggio Emilia, in cui la lotta partigiana è stata “una roba seria”, di tracce di questo tipo ce ne sono parecchie, dai fratelli Cervi alle numerose “pietre dolenti” disseminate lungo le nostre strade.
Quella di Cervarolo riveste tuttavia un’importanza particolare, vuoi per il misterioso isolamento del luogo, nascosto tra le valli dell’Appennino, vuoi per il fatto che fu una rappresaglia ai danni di civili inermi. Ciò che colpisce nel caso di Cervarolo è la rassegnata ineluttabilità con cui per tanto tempo questa strage è stata accettata da chi ne fu colpito. Quasi si trattasse di un effetto collaterale del passaggio della Storia, di fronte alla quale, troppo spesso, ci sentiamo totalmente impotenti. Cosa tanto più vera se a farne le spese sono gli ultimi, contadini e pastori da sempre rassegnati a combattere contro una terra assai poco generosa, per la stretta sopravvivenza.
Il passare degli anni ha finito così per rendere tutti un po’ complici omertosi della Storia, tant’è che l’identificazione dei reali esecutori di questo eccidio progressivamente si è persa. Cominciarono ben presto a circolare diverse versioni e c’era addirittura chi l’additava come una strage partigiana. Un pessimo servizio, insomma, reso alla Memoria.
Come raccontare tutto questo? Quale struttura dargli? All’inizio infatti, parlo del 2008, io e Matthias volevamo raccontare solo l’incredibile storia del violino che apparteneva a Virgilio Rovali. Storia di per sé bella, ma che acquistava un reale significato solo all’interno del più ampio racconto della strage di Cervarolo. E qui cominciavano i problemi, perché a questo punto sentivamo che il racconto avrebbe rischiato di assumere contorni troppo vaghi, di perdere il suo baricentro e temevamo di arenarci. Per cui accantonammo il progetto e aspettammo. Solo quando, un anno dopo, scoprimmo, del tutto inaspettatamente, che di lì a poco, presso la corte militare di Verona, avrebbe prese avvio il processo per quella strage, capimmo che esso avrebbe fornito alla storia il set ideale – con tanto di avvocati, giudici, consulenti e testimoni – e il ritmo narrativo che ci voleva.
A questo punto mancava solo chi facesse da trait d’union tra il processo e la storia del violino. E la scelta non poteva che cadere su Italo Rovali, il figlio del violinista. Ovviamente Italo lo conoscevamo già, in quanto fu proprio lui a raccontarci la storia del violino di suo padre Virgilio. Si era tuttavia “dimenticato” di dirci che dal 2005, da cocciuto montanaro qual era, lavorava perché si aprisse il caso della strage del suo paese e fossero mandati a processo gli ufficiali nazisti che l’avevano pianificata.